Profili di SUV odierni, automobili di varie marche che sembrano tutte uguali

“La civiltà della macchina”, recitava un vecchio slogan pubblicitario dell’Alfa 90, nel 1984. Sembrano passati anni luce da quel periodo poco tecnologico e molto muscoloso. Le automobili suscitavano ancora delle emozioni, e si distinguevano l’una dall’altra inconfondibilmente. Avevano semplicemente carattere. A partire dal dopoguerra, con l’inizio della motorizzazione di massa, i vari modelli esistenti sapevano esprimere energia, agonismo, voglia di correre e di viaggiare. I motori rombavano poderosi mentre gli interni erano davvero spartani: niente plastica e cianfrusaglie inutili: quello che contava era la pedaliera, il volante, e la leva del cambio. Gli automobilisti erano dei veri “driver”, pronti a doversi destreggiarsi tra mille difficoltà, quando la meccanica era fatta solo di bielle, pistoni viti e bulloni. Nessun aggeggio elettronico controllava lo stile di guida, e sbandare in curva era di una semplicità pericolosa. Quando si rompeva la cinghia di trasmissione si usava una calza, quando si ingolfava il carburatore o finiva la batteria si partiva a spinta. Quante macchine a chiedere soccorso nelle corsie di emergenza delle autostrade! Eppure, nonostante tutte queste difficoltà, guidare era un vero piacere perché il pilota diventava tutt’uno con l’auto e il suo compito era semplicemente di “domarla”. Avvertiva tutte le sensazioni, le vibrazioni, i ticchettii, gli sbuffi e i cigolii, come fosse un’orchestra. Erano anni pionieristici.
Oggi tutto questo sembra follia. Con le macchine “intelligenti”, governate dall’elettronica e dai sensori, guidiamo un ovetto nella bambagia. Le emozioni non esistono quasi più, e pure l’estetica ne soffre: a causa dell’omologazione imperante e delle esigenze del momento, le auto sono quasi tutte decisamente brutte, goffe, sempre più mastodontiche. Siamo nell’era del SUV (Sport Utility Vehicle). Ma quale sport? La parte più emozionante è trovare un posteggio. Ma non è finita. Nella mutazione genetica che porta lentamente ma inesorabilmente all’elettrico, si passa attraverso l’ibrido. Un termine terribile, che definisce un motore convenzionale a combustione coadiuvato da un piccolo motore elettrico. Si dice che serve ad abbattere l’inquinamento. Ma quale ecologia? La parte elettrica dura poco, poi si inquina e si consuma come e più di prima, visto il peso e la mole dell’auto. La domanda che ci dobbiamo porre è la seguente: tra tot anni, quando tutto il parco circolante sarà elettrico con guida autonoma, avrà ancora senso considerare l’acquisto di un’automobile personale? Il futuro ci riserverà delle opzioni migliori, come il noleggio, la condivisione, e l’uso intensivo e sistematico dei mezzi pubblici. Fine di un’era – come nei primi del ‘900 finì l’era dei cavalli e delle carrozze.