L’intento di aiutare le imprese non ha precedenti in Italia. Il problema è che anche la situazione è senza precedenti. Mentre la rapidità di intervento resta decisiva in tutte le emergenze, e mal si concilia con una macchina che nonostante gli sforzi resta ancora complessa. È per questo che la «potenza di fuoco da 400 miliardi di euro», messa in campo dal governo per dare ossigeno alle aziende con prestiti garantiti dallo Stato e quindi sicuri per le banche, fatica ancora a far vedere i suoi effetti.
I numeri (finora)
A ieri le domande di credito presentate al Fondo di garanzia sono state 22.480, anche se 1.656 non sono legate al decreto Liquidità. Di queste, 5.200 sono per finanziamenti fino a 25 mila euro, quelli con garanzia pubblica al 100%, più veloci perché non c’è una nuova valutazione del merito di credito. 8.081 sono operazioni di garanzia diretta, con copertura all’80%. Altre 4.399 operazioni di riassicurazione con copertura al 90%. Mentre altre 898 sono operazioni di rinegoziazione, con la copertura che sale dall’80 al 90%. La macchina si muove ma la velocità resta bassa. Anche perché i fondi promessi per la garanzia pubblica, cioè per coprire le banche in caso di mancato pagamento, non ci sono ancora tutti. Arriveranno solo con il prossimo decreto aggiungendo 34 miliardi. Finora si è andati avanti con il serbatoio mezzo vuoto.
I temi sbagliati
Può sembrare un aspetto banale ma non lo è: «Il governo ha fatto un annuncio frettoloso, prima ancora che ci fosse la reale operatività dello strumento» dice Paolo Ferré, Confcommercio. Il calendario parla chiaro. Di soldi per le imprese si comincia a parlare verso fine marzo. Il via libera al decreto arriva il 6 aprile. Per l’ok di Bruxelles — che certifica quello che prima non avrebbe mai detto, e cioè che non si tratta di aiuti di Stato — bisogna aspettare il 14 aprile. Le prime pratiche vengono accettate il 20 aprile. Il giorno dopo c’è l’accordo tra Abi e Sace. Non era facile ma tra la prima e l’ultima puntata passa quasi un mese. Il risultato? «Per giorni — dice Ferré — la gente è andata in banca a chiedere soldi che non c’erano. Questo non favorisce un clima sereno». Ma non sono solo i tempi.
La soglia dei 25 mila euro
Il canale che sta funzionando meglio è quello dei prestiti piccoli, fino a 25 mila euro. Per questo che Cesare Fumagalli, segretario generale di Confartigianato, chiede un correttivo che il governo sta valutando: «Per togliere il tappo che blocca parte delle domande si potrebbe alzare la soglia fino a 50 mila euro». Un’esagerazione? «Molti dimenticano che non sono soldi a fondo perduto. Ma un prestito garantito dallo Stato». Il fatto che finora abbiano funzionato meglio, però, non vuol dire che per i mini prestiti tutto sia filato liscio.
Il rebus documenti
A dimostrazione che la macchina non ha girato subito al meglio, per i prestiti sotto i 25 mila euro finora sono state necessarie due correzioni in corsa. Il primo è stato il chiarimento che per presentare domanda bastasse l’autocertificazione, e quindi che in caso di documenti falsi o dati mendaci la banca non fosse responsabile. Il secondo per evitare che nei 25 mila euro la banca conteggiasse anche il fido concesso in precedenza alla stessa azienda: ti dò 25 mila, ma 5 mila sono «veri», gli altri 20 mila annullano lo scoperto di prima.
Il nodo delle banche
«In banca abbiamo toccato con mano la presenza di trucchi e intoppi che rendono non di rado impossibile accedere alle forme di liquidità decise dal governo», attacca Salvo Politino, vice presidente di Unimpresa. Bisogna valutare caso per caso. I singoli istituti hanno applicato il decreto, ma si tratta pur sempre di farsi concorrenza sul tasso di interesse, che in ogni caso non può superare il 2%. C’è però un problema comune a tutti gli istituti. Sempre per l’emergenza coronavirus le banche hanno ricevuto, in base al decreto precedente e a iniziative singole, la richiesta di congelare 1,3 milioni di linee di credito per oltre 140 miliardi di euro. Di questi crediti, circa la metà sono di imprese. Le altre di famiglie, compresi 42.500 mutui. Una moratoria pesante, visto che per la grande crisi iniziata nel 2008 il totale delle pratiche congelate arrivò a 450 mila. E che spinge le banche a muoversi con grande attenzione.
I documenti doppi
Anche questo sembra un dettaglio ma non lo è. Per i prestiti che vanno da 25 mila a 800 mila euro, la garanzia pubblica può arrivare al 100%. Ma il meccanismo è un po’ più complicato. Perché lo Stato arriva fino al 90%, mentre l’altro 10% può essere messo dai confidi, i consorzi di garanzia collettiva dei fidi. Un doppio canale che non sta girando al meglio. Ma anche qui il governo sta valutando un correttivo, ed è la proposta messa sul tavolo da Assoconfidi, e in particolare dal presidente Gianmarco Dotta e da Paolo Ferré. La garanzia al 100% potrebbe essere concessa direttamente dai confidi che poi potrebbero riassicurarsi al 90% con Sace. Si eviterebbe la necessità di presentare le stesse pratiche due volte. Spesso nel labirinto della burocrazia sono proprio questi dettagli a fare la differenza.
Casse e bonus
Non è certo una consolazione ma anche per gli aiuti ai lavoratori c’è molta strada da fare. Su 11 milioni di persone che hanno chiesto un sostegno, solo 7,5 milioni l’hanno ottenuto. La cassa integrazione in deroga ha i suoi tempi burocratici. Mentre per il bonus da 600 euro ci sono ancora 900 mila domande in corso di valutazione.