È morto Maurizio Costanzo. Il giornalista, conduttore tv, autore e sceneggiatore aveva 84 anni. È morto venerdì a Roma.
«Bboooni, state bboooni». Quando il tasso di diverbio si alzava ricorreva all’adagio romanesco. Quante volte lo ha detto Maurizio Costanzo nelle 4.480 puntate del suo Show, quello che portava il suo nome, quello che ha segnato le serate di 34 anni di televisione italiana. Lo avevano chiuso nel 2009, ma non se ne poteva fare a meno, e lo avevano riacceso nel 2015.
Ora si è spento per davvero.
Ha alternato impegno e disimpegno, programmi buoni e ottimi a meno buoni e meno ottimi, è stato quello della camicia con i baffi nello spot Dino Erre Collofit, quello della tessera numero 1819 della P2, quello che la mafia ha provato a far saltare in aria per il suo impegno prima al fianco poi in ricordo di Giovanni Falcone.
È stato giornalista, ma anche autore radiofonico, televisivo, di canzoni (per Mina, Se telefonando, scritta con Ghigo De Chiara, un successo nel 1966), autore di opere teatrali, sceneggiatore (per quattro film di Pupi Avati; per Una giornata particolare con Sophia Loren e Mastroianni diretti da Scola nel 1977).
Nato a Roma il 28 agosto 1938, Maurizio Costanzo inizia come cronista di Paese Sera nel 1956. Altri sette anni per debuttare come autore radiofonico in Rai con Canzoni e nuvole, condotto da Nunzio Filogamo. Sono piccoli passi che lo portano alla televisione.
È suo il primo talk show della tv italiana — un genere che diventerà poi tanto imprescindibile quanto inflazionato: Bontà loro (Rai1, 1976 – 1978) è il primo seme di una serie di programmi che avranno la loro fioritura finale nel 1982 con il Maurizio Costanzo Show, in scena dal Teatro Parioli di Roma.
Se Bruno Vespa ha riprodotto in televisione la terza Camera dello Stato, C ostanzo ha inventato il «salotto mediatico» che parte su Rete4 per poi allargarsi su Canale 5, un luogo di transito e discussione, a volte alta, altre meno, dove si fa prima a elencare chi non è mai stato invitato piuttosto che il contrario: alla fine saranno 32.800 ospiti. Persone comuni e personaggi affermati.
Per molti è stato un trampolino di lancio, quei 15 minuti di celebrità che se riuscivi a bucare lo schermo si potevano ripetere in un istante che diventava un successo: è stato così per Enrico Brignano, Gioele Dix, Giobbe Covatta, Enzo Iacchetti, Dario Vergassola, David Riondino, Daniele Luttazzi, Alessandro Bergonzoni, Valerio Mastandrea, Ricky Memphis, Platinette, Giampiero Mughini, Vittorio Sgarbi… Tanto disimpegno ma altrettanto impegno, come le campagne contro la mafia (era amico di Falcone, ospite nei suoi programmi) che il 14 maggio 1993 portano a un attentato (fallito): un’auto con 90 chili di tritolo esplode in via Fauro (vicino al Parioli). Una «medaglia» di cui andare fiero. Meno la storia di un decennio prima.
Nel 1980 nella lista dei massoni legati a Licio Gelli c’è anche il suo nome. Prima nega, poi si arrampica sugli specchi («sono stato iscritto a mia insaputa»), poi ammette il suo legame con la P2. Una vita professionale intensa. Tanto quanto quella sentimentale.
Matrimonialista seriale, si è sposato quattro volte : con Lori Sammartino nel 1963, con Flaminia Morandi nel 1973 (due figli: Camilla, sceneggiatrice in Rai, e Saverio, il regista). Quindi una lunga convivenza con Simona Izzo, ma nel 1987 sposa Marta Flavi. La quarta volta è quella buona: nel 1995 regala l’anello a Maria De Filippi.
Contemporaneamente al Costanzo Show, il giornalista e conduttore guida per svariate edizioni anche Buona Domenica, agli inizi (1985) in coppia con Corrado, alla fine con Loredana Lecciso (2006), in un percorso che da nazionalpopolare sconfina nel trash con il troppo spazio via via dato a dubbi personaggi da reality show.
Ma è anche il termometro di come siano cambiati i gusti dei telespettatori e così il successo del suo programma simbolo via via scema: si dirada l’audience, si diradano le serate di messa in onda. È il presunto epilogo, che arriva il 9 dicembre del 2009: ultima puntata con alcuni degli ospiti più rappresentativi della storia della trasmissione: Raffaele Morelli, Afef, Katia Ricciarelli, Andrea Camilleri, Gino Strada e Enzo Iacchetti. Non amava gli amarcord. Ricordò che aveva potuto fare un programma libero e che Berlusconi si imbufalì solo due volte: quando invitò Di Pietro, ma non glielo disse direttamente, glielo fece sapere.
In un’intervista scelse di rievocare due momenti di quella lunghissima esperienza: «Il bello è la sensazione che provi quando fai una cosa concreta: come quando gli spettatori nel 1994 hanno raccolto i soldi per ricostruire un ponte distrutto nell’alluvione del Piemonte o quando hanno contribuito a mettere in piedi ospedali per Emergency o a finanziare progetti per neutralizzare le mine antiuomo. Triste è stato l’addio a Isabella Ceola, una donna che è morta di vecchiaia a 28 anni, di senilità precoce. Era venuta tre volte in trasmissione, le aveva dato forza il fatto che poi quando la vedevano per strada non la chiamavano più ET, ma “quella di Costanzo”».
Chiuso il suo Show, capisce che per lui a Mediaset non c’è più posto, forse nemmeno riconoscenza, e la tanto bistrattata Rai (non da lui) gli offre una pensione televisiva: Bontà sua, Maurizio Costanzo Talk, fino a S’è fatta notte con Enrico Vaime, programma incompreso, programma di un tempo ma fuori dal tempo.
Del resto la tv è fatta così. Lui lo sapeva. Quando l’ombra sembra calare, all’improvviso qualcosa si riaccende: il Costanzo Show si riaccende su Rete4: è i l mito dell’eterno ritorno nello stesso punto, che è partenza e arrivo.