Così, oggi sono qui a curiosare in questo mosaico ambientale, dove i lupi sono al vertice della rete ecologica, favoriti anche dalla presenza di diverse specie di ungulati selvatici. D’altronde, per vivere, ai lupi servono giusto cibo, acqua e un luogo tranquillo dove riposare e allevare i propri piccoli. Concedetegli queste poche cose e vi sorprenderanno. Dalle loro roccaforti, infatti, dove un tempo non sopravvivevano che poche decine di esemplari, oggi i lupi hanno ricolonizzato gran parte del loro antico areale, arrivando alle coste, alle aree agricole di pianura, perfino alla periferia delle grandi città. E così, da un centinaio di animali stimati alla metà degli anni Settanta del secolo scorso, i risultati del monitoraggio condotto da ISPRA un paio di anni fa parlano di oltre 3000 lupi. Un numero che rappresenta un grande successo per la conservazione, ma che può sorprendere, soprattutto se si pensa che tutti questi lupi convivono più o meno felicemente con quasi 10 milioni di cani e 60 milioni di esseri umani.
Certo, in un paese come il nostro, i problemi non mancano mai. Laddove non esistano buone pratiche e ambienti in salute, i lupi possono sicuramente entrare in conflitto con le attività umane. In assenza di misure di prevenzione e di prede selvatiche, infatti, i lupi, opportunisti per natura, non esitano ad attaccare il bestiame domestico e, persino, animali da compagnia lasciati incustoditi. Per convivere con i carnivori e, in generale, con la wilderness, occorrono educazione, intelligenza e buona volontà. La conservazione però non può venire relegata alle comunità rurali o di montagna, ma deve essere una responsabilità di tutta la società civile.
Quante ore ho passato sulle tracce di questo animale incredibile e sfuggente. Per questo so bene che ogni dettaglio ha la sua importanza senza disturbarne eccessivamente la quiete e senza farsi notare.
Cresciuto all’ombra austera delle montagne, fin da piccolissimo, infatti, ho desiderato ardentemente incontrare i loro abitanti più rari e riservati. E così ho dedicato gran parte della mia vita alla ricerca di orsi, lupi e tanti altri straordinari protagonisti della nostra fauna. Nella maggior parte dei casi, mi son dovuto accontentare di ombre sfuggenti, o di tracce in cui ancora vibravano gli artigli, i muscoli e il calore che le avevano impresse. Segni, simboli, che però mi concedevano una certa intimità, seppure distante nel tempo e nello spazio, con gli animali.
Ho imparato ad essere grato per questi incontri, facendone tesoro nella memoria e, talvolta, riuscendo anche ad immortalarli con la mia macchina fotografica. Di tutti gli animali di cui ho cercato di documentare la vita, il lupo però è stato uno dei più difficili. Difficile perché si reinventa “di continuo”; come un codice di accesso segreto, quest’animale modifica di volta in volta il suo comportamento e le sue abitudini in risposta alle nostre.
Dopo aver incontrato un paio di volte il lupo in un determinato luogo e magari alla stessa ora, viene spontaneo pensare di aver capito tutto dei suoi spostamenti. In realtà, l’unica cosa di cui si può essere certi è che anche il lupo ha capito qualcosa di noi. Succede infatti che l’animale cambi repentinamente il suo itinerario giornaliero, per evitare di ripercorrere quello stesso sentiero e incontrare così un essere umano. In questi frangenti, è difficile tracciare una linea netta tra chi è l’osservatore e chi l’osservato. Ogni volta, si deve ricominciare da capo, cercando di non commettere gli stessi errori. Ed è per questo gioco complicato, di cui non esistono regole scritte, che oggi mi trovo a girovagare per i boschi. Proprio perché ho capito che, seguendo le orme del lupo, si finisce per comprendere meglio il mondo in cui entrambi viviamo. E più si cerca di entrare nella testa dell’animale, più si rischia di trovare noi stessi. (di BRUNO D’AMICIS – NATIONAL GEOGRAPHIC)
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